Considerazioni sul thrust manipolativo
Il rumore prodotto e l’effetto terapeutico
Il rumore di schiocco (in inglese cracking o popping) che si produce durante la manipolazione vertebrale è un suono comune a osteopati, chiropratici e fisioterapisti (Ross et al. 2004, Reggars e Pollard 1995).
Mentre l’esatto meccanismo e l’origine del rumore di schiocco durante la manipolazione HVLA rimane relativamente sconosciuta, (Cascioli et al 2003) la teoria predominante è ancora il modello di cavitazione originariamente proposta da Unsworth nel 1971.
Per capire che cosa accade quando facciamo schioccare le nocche delle dita, o qualsiasi altra articolazione, è necessario, in primo luogo, approfondire la conoscenza sulla natura delle articolazioni del corpo. Il tipo di articolazioni che si può più facilmente fare schioccare sono le articolazioni diartrodie. Queste sono le articolazioni più tipiche. Si tratta di due segmenti ossei che si rivolgono l’uno verso l’altro con le superfici cartilaginee le quali sono circondate da una capsula articolare. All’interno della capsula articolare è presente un lubrificante, noto come liquido sinoviale, che serve anche come fonte di nutrimento per le cellule che producono e mantengono la cartilagine articolare. Il liquido sinoviale contiene dei gas disciolti, tra cui ossigeno, azoto e anidride carbonica. Le articolazioni più facili da fare schioccare sono quelle della dita della mano, precisamente l’articolazione interfalangea e metacarpo falangea. Quando queste superfici vengono distratte, l’adesione viscosa e la tensione tra le superfici resistono alla loro separazione. Quando le forze di distrazione superano le quelle di adesione, le superfici si separano rapidamente creando una pressione negativa. Questa pressione negativa, combinata alla velocità con cui le superfici si separano, possono creare una cavità di gas all’interno del liquido tanto come un solido che viene fratturato (Chen et al 1992, Lung e Israelachvili 1991).
Lo schiocco, si pensa possa essere causato dai gas provenienti bruscamente dalla soluzione, i quali consentono alla capsula di allungarsi maggiormente. Il movimento dell’articolazione viene subito dopo limitato dalla lunghezza della capsula.
Le immagini della RMN dinamica sono state estratte dal lavoro di Kawchuk et al. 2015
Il primo studio sull’argomento (Roston e Haines 1941), utilizzando delle radiografie dopo lo schiocco, ha messo in evidenza delle bolle di gas all’interno dell’articolazione che scompaiono dopo circa 20 minuti. Recentissimi studi (Kawchuk et al. 2015) hanno registrato, utilizzando delle RMN dinamiche, la formazione di queste bollicine (vedi immagini e filmato) in tempo reale durante un cracking della matecarpo falangea.
Questo gas liberato, che consiste principalmente (circa 80%) di anidride carbonica, aumenta il volume articolare dal 15 al 20%. L’evento non può riprodursi di nuovo fino a quando il gas non si ri dissolve nella componete del liquido sinoviale, ciò spiega il motivo per cui non si può schioccare la stessa articolazione ripetutamente a distanza di poco tempo.
Ma come può il rilascio di una piccola quantità di gas causare così tanto rumore? Non esiste una risposta a questa domanda.
I ricercatori hanno stimato i livelli di energia del suono utilizzando accelerometri per misurare le vibrazioni causate durante “popping” articolare. La quantità di energia coinvolta è molto piccola, dell’ordine di 0,1 milli-joule per millimetro cubo.
A riguardo della “dannosità” del continuo ricercare lo sblocco con un gesto ripetuto, come se fosse un tic nervoso, in un studio (Ikeda et al. 2012) viene riportato il caso di una giovane paziente (30 anni) che soffriva di mielopatia da ernia cervicale atraumatica, sottoposta a discectomia di ernia cervicale e stabilizzazione vertebrale che presentava l’abitudine di auto schioccare le vertebre cervicali. Gli Autori attribuiscono all’ipermobilità causata dal continuo (tic) auto thrust della paziente la degenerazione discale con erniazione e di conseguenza la fonte della mielopatia.
Molte teorie sono state avanzate per spiegare la disfunzione articolare e l’effetto della mobilizzazione con impulso (tecniche dirette, strutturali o High Velocity- Low Amplitude). Esse includono: 1) alterazione della relazione delle opposte superfici di scorrimento articolari; 2) la capsula articolare con associato menisco; 3) meccanismo neuronale originato dai meccanoreccettori e nocicettori articolari con gli effetti correlati sui muscoli segmentali.
Riguardo le superfici articolari si ipotizza una mancanza di sincronia nello scivolamento tra le opposte superfici articolari, con un impedimento al movimento. E’ stato suggerito anche l’importanza della partecipazione della viscosità del liquido sinoviale (Greeman 1996). La teoria della faccette articolari mal posizionate è alla base dei principi di trattamento delle scuole chiropratiche (Plaugher 1993). I chiropratici hanno considerato, fin dal primo trattamento chiropratico eseguito da Palmer (Lantz 1989), l’allineamento interarticolare delle vertebre un importante aspetto del complesso di sub-lussazione vertebrale (vertebral subluxation complex). Lo studio dell’ allineamento avviene attraverso la valutazione radiografica. La correzione di alterate posizioni è stata proposta come meccanismo terapeutico della manipolazione. Alcuni Autori (White e Panjabi 1990) avanzano perplessità su questa teoria poichè queste alterazioni non sono dimostrabili.
Va sottolineato che le evidenti dislocazioni vertebrali dovute a fratture e/o rotture legamentose sono una controindicazione al trattamento manipolativo.
Un’altra ipotesi alla disfunzione delle faccette articolari è quella di un impedimento, per intrappolamento, tra le superfici di frangie di sinovia capsulare o di menischi (Kos e Wolf 1972). Queste teorie rimangono controverse e non hanno mai avuto convalida scientifica, anzi per alcuni Autori (Bogduk e Engel 1984) è impossibile che il menisco crei tensione visto l’esiguo spessore e composizione.
E’ stata avanzata l’ipotesi che lo stress tensionale capsulare delle articolazioni coinvolte, alteri le afferenze propriocettive dei meccanorecettori di tipo I, II e III (Wyke 1976, pag 189-256) presenti nella capsula articolare, così che il centro nervoso deputato al controllo del movimento ha difficoltà a determinare il corretto rapporto spaziale articolare. Questa discinesia determina un’alterazione di tono e lunghezza dei muscoli segmentali correlati e di conseguenza una restrizione del fisiologico movimento. Il dolore innescato dai ricettori di tipo IV, presenti nelle capsule articolari delle zigoapofisi, non farebbe altro che attivare una spasmo muscolare per inibire il movimento articolare, ma ciò non farebbe altro che alterare ulteriormente il corretto scivolamento. La riduzione di movimento può essere globale ma spesso è limitata in una direzione (Korr 1975 pp 183-200). L’aumentato tono muscolare segmentale verrebbe mantenuto da una iper attivazione dei fusi muscolari appartenenti al circuito Gamma. Questo modello disfunzionale che coinvolge i fusi muscolari è stato convalidato in recentissimi lavori eseguiti sperimentalmente su dei gatti (Reed et al. 2015A, Reed et al. 2015B). Spesso un’eccessiva contrazione muscolare (contrattura) è palpabile nell’area del segmento disfunzionale e diversi studi (Falla 2004; Colloca e Keller 2001; Lehman et al 2001) hanno dimostrato un’alterata attivazione dei muscoli paravertebrali nelle patologie vertebrali.
Durante il thrust le articolazioni interessate vengono mobilizzate , le capsule e i muscoli correlati allungati (overstretch). L’allungamento muscolare potrebbe essere trasmesso ai corpuscoli tendinei del Golgi, le cui scariche afferenti inibirebbero l’iper attivazione muscolare determinando un rilassamento extrafusale e intrafusale (Korr 1975). Un altro meccanismo inibitorio riflesso può essere attivato dai meccanorecettori di tipo III presenti nelle capsule articolari dei segmenti trattati (Fisk 1979). La manipolazione, quindi, produrrebbe un “resettaggio” neurologico del tono base nei segmenti trattati con rilassamento muscolare e ripristino del fisiologico movimento articolare.
Pur se questa teoria ci sembra la più plausibile, soprattutto dopo che diversi lavori (DeVocht et al 2005; Dishman e Burke 2003; Colloca et al 2003; Pickar 2002; Lehman et al 2001; Lehman e McGill 2001; Dishman e Bulbulian 2000; Dishman e Bulbulian 2001; Symons et al 2000; Herzog et al 1999) hanno dimostrato che il thrust determina una riduzione del tono muscolare nei segmenti vertebrali trattati e limitrofi, e tali eventi sono in stretta correlazione temporale (Colloca et al 2003), come inquadrare il meccanismo d’azione quando abbiamo delle disfunzioni in divergenza (flessione o FRS)? Un’alterato spasmo dei muscoli paravertebrali porterebbe in disfunzione il segmento vertebrale sempre e solamente in convergenza (estensione o ERS).
Anche se il meccanismo d’azione del thrust manipolativo non è ancora perfettamente conosciuto, numerosi studi hanno evidenziato un miglioramento della sintomatologia dolorosa dopo le manipolazioni vertebrali (Senstad et al 1997; Glover 1960; Terrett e Vernon 1984; UK BEAM 2004, Bronfort et. al 2004, Lawrence et al 2008, Goertz et al 2012), anche se altri studi (Cherkin et al 1998; Koes et al 1991, Rubinstein et al 2011, Rubinstein et al 2013) non riscontrano un reale beneficio della manipolazione rispetto alle terapie convenzionali.
Durante le manipolazioni in rotazione, l’articolazione che produce il classico rumore (crack), per il fenomeno della cavitazione, sembra essere quella dello stesso lato della rotazione, quindi, quella che si muove in convergenza trattando una cervicale. In 50 soggetti sottoposti a manipolazione cervicale (Reggars e Pollard 1995), il risultato della registrazione sonora dimostra che nel 95% dei casi il rumore è attribuibile alle faccette articolari omolaterali alla rotazione effettuata. Le prove aneddotiche e recenti studi suggeriscono che normalmente, per la manipolazione vertebrale ad alta velocità e bassa ampiezza (HVLA), per una singola spinta è più frequente la produzione di 2 o più distintivi schiocchi (Beffa et al 2004, Cramer et al. 2011, Ross et al. 2004, Reggars 1996, Dunning et al 2013).
Altri studi non hanno riscontrato una stretta correlazione tra il livello dove era intenzionalmente stata indotta la manipolazione, sia per il tratto toracico (Ross et al 2004) sia per il tratto lombosacrale (Beffa e Mathews 2004) e l’evento sonoro prodotto. Tuttavia, la questione se questi suoni multipli provengono dalla stessa articolazione, articolazione omolaterale o controlaterale adiacenti, o tessuti molli anche extra-articolari è ancora lontano da essere chiarita (Cascioli et al 2003, Ross et al. 2004).
Si deduce, quindi, che l’effetto terapeutico della manipolazione non è strettamente legato all’evento sonoro e che probabilmente le logiche manipolative di disfunzione articolare sono solo teorie. Depone a favore di quest’ultimo punto la validità di tecniche manipolative strutturali che si basano su concetti completamente diversi, ad esempio il principio base del non dolore utilizzato da Meigne (1997).
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