LA SFIDA DELL’OSTEOPATIA? Integrare il classico con il nuovo

Interpretare questa frase nell’ambito della formazione in Osteopatia, soprattutto in Italia dove in questo momento viene richiesta una veste EBM (Evidence Based Medicine) per farla assurgere ad attività sanitaria, cosa comporta? Comporta una notevole apertura mentale, dove pur basandosi sui principi radicati nella storia dal primo seme piantato dal dott. Still, deve integrare le nuove conoscenze derivate dalla ricerca. Deve imparare a utilizzare ed integrare strumenti e terminologie non insite nel background dei Classici Osteopati. Ad esempio, uno degli argomenti cari a Littlejohn (1865-1947), le linee di forza presenti nel rachide come reazione alla forza di gravità, come integrarlo con una serie di parametri spino-pelvici attualmente proposti dalla ricerca scientifica come indici dell’equilibrio corporeo? Le curve fisiologiche sono benefiche per il rachide, aumentano la sua resistenza alle sollecitazioni di compressione assiale, le conferiscono una maggiore capacità di ammortizzare le pressioni e le sollecitazioni. É normale avere un certo grado di lordosi e di cifosi, non è normale ne che aumentino (iperlordosi e ipercifosi) ne che si riducano. In questo articolo vengono riportati, in linea di massima, due punti di vista sulle problematiche dell’equilibrio del rachide nel piano sagittale. La sfida dell’osteopata è riuscire ad integrare questi punti di vista nella sua pratica quotidiana per meglio inquadrare e curare il paziente.

Visione classica: le linee di forza di Littlejohn

Il principio della globalità è alla base dell’osteopatia. Littlejohn è stato uno dei primi ad avere affrontato, nell’analisi e nello studio delle patologie dell’uomo, l’importanza della visione globale della persona, della ricerca e correzione della lesione osteopatica primaria. In particolare introdusse, per l’epoca, un nuovo concetto globale della meccanica vertebrale, le “linee di gravità”, che vengono considerate ancora valide nell’osteopatia moderna. Queste linee di gravità rappresentano le forze contrapposte che mantengono il nostro equilibrio. La perturbazione di queste linee di gravità può essere all’origine di numerosi disturbi non solo osteo muscolari ma anche di organi interni. Buona parte delle nozione su tale approccio biomeccanico ci sono state tramandate da un allievo e amico di Littlejohn, John Wernham (2013).

Tra le linee rette si riconoscono:

  • una linea centrale di gravità del corpo
  • una linea anteriore
  • una linea traversa pubica
  • una linea anteroposteriore
  • due linee posteroanteriore

Linea centrale di gravità

Rappresenta la forza che la gravità esercita sul nostro corpo in stazione eretta: ha una direzione ed un senso, oltre che un campo d’applicazione teorico rappresentato dal Centro di Gravità (CdG). Il CdG può essere considerato la risultante della forza peso di ciascuna componente organica, e può essere rappresentato all’incirca anteriormente al soma di L3. Da ciò l’importanza focale di questa vertebra nella distribuzione degli equilibri e dei carichi funzionali. Tutti i movimenti corporei devono svolgersi attorno al centro di gravità e alla sua proiezione al suolo, che deve ricadere sempre all’interno nel poligono di sostegno; al suolo, nel normotipo, cade leggermente anteriore rispetto al malleolo. La terza vertebra lombare può essere considerata, supportante di tutte le strutture che le stanno sopra e sostenente tutte quelle che stanno sotto ad essa. Per questo motivo, oltre che vertebra chiave dell’equilibrio funzionale, risulta essere il punto più debole di questo sistema. Assume significato l’affermazione “in ogni movimento corporeo ciascun segmento vertebrale si deve accomodare alle potenzialità di L3”.

Linee anteroposteriore e posteroanteriori

Sono linee che partono dal limite superiore della colonna vertebrale e giungono sino all’estremità inferiore del complesso funzionale

La linea anteroposteriore parte dal margine anteriore del forame occipitale e arriva all’apice coccigeo; durante il suo tragitto attraversa il soma vertebrale di D11 e D12 e le faccette articolari di L4 e L5. Non a caso frequentemente noi osserviamo nella pratica restrizioni di movimento di D11 e D12. Le linee posteroanteriori partono dal margine posterolaterale del forame occipitale e si dirigono verso l’articolazione coxofemorale del lato opposto, sino alla sommità del tetto acetabolare. S’incrociano nel normotipo a livello di D4 e D5, area considerata anche centro di gravità del tronco.

Rappresentando le linee anteroposteriore e posteroanteriori su di un modello grafico tridimensionale si realizzano due piramidi a base triangolare contrapposte funzionali, superiore ed inferiore (fig. 1). La base della superiore è verso il cranio e quella della piramide inferiore è rivolta verso il bacino.

Si delinea un punto pivot importante, risultante dall’incontro dei vertici delle due piramidi, situato a livello D4.

Da un punto di vista biomeccanico, in questa zona abbiamo il massimo grado di movimento della torsione del rachide. Una disfunzione a questo livello produrrà notevoli restrizioni di movimento con ampie ripercussioni sul sistema muscolo scheletrico; lecito affermare, quindi, che questa zona rappresenta un’area critica.

SFIDA DELLOSTEOPATIA Integrare classico con nuovo 002 osce spine centerfig. 1 – rappresentazione schematica della linea anteroposteriore e delle linee posteroanteriori di Littlejohn

Spesso schemi in torsione del triangolo superiore determinano schemi di compenso in torsione contraria in quello inferiore.
Costruendo un triangolo in corrispondenza d’ogni segmento vertebrale, avente per vertice l’intersezione con queste linee, ne sarebbero tutti triangoli isosceli con un proprio centro corrispondente al baricentro risultante da queste linee di forza. Inoltre, solo L3 avrebbe questo baricentro ricadente all’interno del proprio soma, quasi esattamente al centro.
Considerato che precedentemente, sempre L3 era fulcro del CdG, si evidenzia l’importanza focale di questa vertebra nella distribuzione degli equilibri e dei carichi funzionali.

Tutti i movimenti corporei devono svolgersi attorno al centro di gravità e alla sua proiezione al suolo, che deve ricadere sempre all’interno nel poligono di sostegno. Motivo per cui L3, deve godere di un buon equilibrio funzionale per assicurare che ciò avvenga. L3 può essere considerata, supportante di tutte le strutture che le stanno sopra e sostenente tutte quelle che stanno sotto ad essa. Per questo motivo, oltre che vertebra chiave dell’equilibrio funzionale, e necessariamente il punto più debole di questo sistema. Assume significato l’affermazione ” in ogni movimento corporeo ciascun segmento vertebrale si deve accomodare alle potenzialità di L3″.

Il triangolo superiore ha la funzione di mantenere la posizione del cranio sul rachide cervicale Disfunzioni a carico di D3 – D5. Sintomatologia a livelli superiori e rachide cervicale.

Linea anteriore e linea trans pubica

La linea anteriore, definita anche linea di pressione toraco-addominale, decorre parallelamente alla linea centrale di gravità, si estende dal mento alla sinfisi pubica, ed è perpendicolare alla linea trasversa pubica, con la quale entra in relazione. Linea anteriore e linea centrale di gravità devono lavorare sinergicamente per mantenere uno schema di funzionalità corretto.

La linea trans pubica è orizzontale e unisce i due tubercoli pubici; deve essere perpendicolare sia alla linea anteriore sia a quella centrale di gravità. In questa situazione con le linee verticali, assicura un equilibrio pressorio toraco-addominale.
Quando la proiezione della linea anteriore passa davanti alla linea trans pubica si determina un equilibrio posturale definito Anteriore; nel caso opposto, vale a dire di una proiezione posteriore rispetto alla linea trans pubica, si realizza un equilibrio posturale posteriore.
Le caratteristiche funzionali di questi diversi equilibri, si possono sintetizzare come segue.

Equilibrio anteriore

  • iperlordosi del complesso cervicale superiore
  • rettileinizzazione del rachide cervicale inferiore
  • cerniera cervico dorsale sofferente per sovraccarico tensionale
  • muscoli e legamenti delle catene funzionali posteriori contratti ed ipertesi
  • punto di massima tensione a livello di D11, D12
  • tensione lombosacrale
  • muscoli medio gluteo, crurali e retto femorale in tensione
  • ginocchio in iperestensione/recurvato con tensione sull’inserzione tendinea della zampa d’oca
  • muscoli della gamba in tensione
  • linea di gravità che si proietta a livello metatarsale
  • mento elevato
  • bacino anteriorizzato sulla testa femorale
  • linea anteriore decentrata
  • pressione toraco addominale modificata

Equilibrio posteriore

  • iperestensione occipitale
  • inclinazione verso il basso del collo
  • ipercifosi dorsale
  • iperlordosi lombare
  • tensione sacroiliaca
  • tensione dei muscoli anteriori della coscia
  • ginocchia in semi flessione
  • muscoli IPT in accorciamento
  • perturbazione delle pressioni toraco addominali
  • muscoli anteriori della gamba in tensione
  • linea di gravità che si proietta a livello retro malleolare

Archi funzionali

Dal punto di vista funzionale il rachide è diviso in archi, così determinati dalla struttura e dalle sue modificazioni anatomiche.

Il motivo per cui è essenziale che la forma degli archi sia mantenuta è che le vertebre pivot siano collocate in modo da poter funzionare come tali, orizzontalità dei pivot di rotazione e giusti rapporti con gli archi dei pivot di flesso-estensione. I movimenti vertebrali sappiamo che si realizzano nei tre piani dello spazio, e la possibilità di eseguire i movimenti sul piano orizzontale è importante. Un pivot è un sistema di accoppiamento di due componenti di un meccanismo, tale che l’una possa ruotare rispetto all’altra intorno ad un asse. Queste vertebre pivot hanno caratteristiche anatomiche e relazioni muscolo-fasciali particolari, inoltre devono essere nella loro appropriata posizione anatomica nei tre piani dello spazio, e della curva vertebrale a cui appartengono, che dipende a sua volta dal gioco degli archi. Cosi l’orizzontalità di L3 condiziona la stabilità di D12, la mobilità di D9 salvaguardia la stabilità di D4. Lo stress gravitazionale aumenterà la sollecitazione di queste vertebre pivot, che saranno anatomicamente più attrezzate a sopportare i carichi gravitazionali. Il primo arco, detto anche arco cervicale, è compreso da C1 a C4; da C6 scendendo vero il basso, la struttura anatomica delle vertebre comincia a cambiare e quindi dal punto di vista funzionale troviamo il secondo arco, detto arco medio o dorsale, che si estende da C6 a D8.

Da D9 in poi le vertebre iniziano ad assumere una forma che richiama quella lombare e quindi si evidenzia un terzo arco, detto anche arco lombare, che si estende da D10 a L4.
Questa suddivisione evidenzia che vi sono delle vertebre, definite pivot inter arco, e precisamente C5, D9, L5 che fungono da collegamento tra un arco e l’altro e sono di fondamentale importanza per il corretto funzionamento degli equilibri tra gli archi.

Esiste in verità anche l’arco sacrale, del quale L5 è il pivot inter arco. Questa suddivisione, dettata dalla struttura e soprattutto dalla funzione, ci fa comprendere come, spesso le disfunzioni che riscontriamo nelle vertebre pivot, non sono primarie, ma conseguenti alla disfunzione di un arco.
S’individuano così delle vertebre che possono più facilmente delle altre andare incontro a disfunzioni. Littlejohn individua nell’arco cervicale la porzione C3-C5 come punto debole tensionale. Nell’arco medio C7 – D1 il punto critico dorsale, mentre, come già descritto in precedenza, D4 risulta essere il centro delle sollecitazioni meccaniche a livello delle faccette articolari. Nell’arco lombare L3 risulta essere la vertebra chiave, con scarico della forza di gravità sulle faccette articolari di L2 – L4.

L’innovazione scientifica

Nei decenni scorsi si è data molta importanza ai dismorfismi del rachide nel piano frontale, ponendo le scoliosi al centro dell’attenzione, come se tutti i “mali” derivassero da queste alterazioni.

Da alcuni anni stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza. I ricercatori stanno dando sempre più importanza alle alterazioni del rachide sul piano sagittale. Alcuni studi, infatti, sostengono l’idea che l’analisi sul piano sagittale dell’equilibrio del rachide è un punto chiave, fondamentale per ottimizzare la gestione delle malattie degenerative lombari (Kumar et al 2001).

L’invecchiamento della colonna vertebrale è caratterizzata da artriti delle faccette articolari ipertrofiche, malattia degenerativa del disco, rimodellamento osseo e atrofia dei muscoli estensori con conseguente progressiva.

cifosi della colonna lombare con il rischio di sviluppare un progressivo squilibrio sagittale globale (Gelb et al 1995). Analogamente, pazienti con lombalgia cronica e patologia degenerativa lombare presentano modifiche dell’equilibrio sagittale che si caratterizzano con uno squilibrio anteriore, perdita di lordosi lombare e aumento del tilt pelvico (Jackson e MacManus 1994; Jackson et al 2000; Barrey et al 2007).

Lo squilibrio anteriore nella popolazione dei pazienti è dovuto principalmente alla la perdita di lordosi lombare anche se può essere difficile da differenziare la perdita di lordosi strutturale da quella posturale.

Fatta eccezione per la perdita di lordosi, che è correlata alla processo degenerativo, le altre variazioni dei parametri spino-pelvici (ad esempio diminuzione dell’angolo sacrale, riduzione della cifosi toracica o aumento della lordosi della porzione alta lombare) corrispondono a meccanismi di compensazione. Per ottimizzare la gestione delle malattie degenerative lombari ed evitare di sottostimarne la gravità, è importante riconoscere e prendere in considerazione questi diversi meccanismi di compensazione.

Nella popolazione normale, le correlazioni tra l’incidenza pelvica, che è un parametro morfologico correlato alla forma delle pelvi, l’inclinazione sacrale e le curve sagittali (soprattutto lordosi lombare) sono attualmente state ben documentate (Stagnara et al. 1982; During et al. 1985; Gelb et al. 1995; Jackson et al 2000; Vaz et al 2000; Duval-Beaupère e Legaye 2004; Roussouly et al. 2005). Di conseguenza, ora è molto più semplice comprendere i cambiamenti dei parametri spino-pelvici per i pazienti con malattie degenerative della colonna vertebrale. I meccanismi di compensazione contribuiscono a mantenere l’equilibrio sagittale della colonna sopra il bacino, limitando così le conseguenze di cifosi lombare in termini di squilibrio sagittale anteriore. Questi meccanismi si osservano nella colonna vertebrale, bacino e/o aree degli arti inferiori e possono essere associati (Lamartina et al 2012).

Valutazione equilibrio globale

Nella popolazione normale non esiste un equilibrio sagittale standard. E’ essenziale avere una congruenza ottimale tra i parametri del bacino e quelli della colonna vertebrale per ottenere, posizionando l’asse di gravità in una fisiologica posizione, un’economica postura (Legaye et al. 1998; Duval-Beauperè et al. 2004; Berthonnaud et al. 2005; Lafage et al. 2008)

In caso di degenerazioni deformanti della colonna vertebrale, uno dei più passi più importanti è quello di valutare l’equilibrio globale del paziente. Questo può essere fatto in modo ottimale usando la di forza nel misurare il posizionamento dell’asse di gravità nel piano sagittale (Vaz et al. 2002). Tuttavia, nella pratica clinica, l’equilibrio globale è apprezzata più semplicemente descrivendo il posizionamento relativo della colonna vertebrale rispetto al bacino su delle radiografie complete della colonna vertebrale in ortostatismo.

L’allineamento sagittale globale è tipicamente determinato calcolando l’offset tra l’angolo posteriore del sacro e la verticale che passa attraverso il corpo vertebrale di C7 (sagittal vertical axis, SVA). invece di misurare la distanza lineare. Viene raccomandato di utilizzare valori angolari e/o parametri di rapporto per caratterizzare il posizionamento C7 rispetto all’osso sacro, invece della distanza lineare. Il parametro angolare è rappresentato dall’angolo spino sacrale (Spinal-Sacral Angle -SSA) e il rapporto corrisponde al filo a piombo di C7 /distanza sacro-femorale (Sacral Femoral Distance – SFD) rapporto C7 / SFD. Questi due parametri sono già stati pubblicati e validati (Stagnara et al. 1982; Barrey 2004).

SFIDA DELLOSTEOPATIA Integrare classico con nuovo 003 osce spine center SFIDA DELLOSTEOPATIA Integrare classico con nuovo 004 osce spine center

Il SSA è stato definito come l’angolo tra la base sacrale e la linea che collega il baricentro del corpo vertebrale di C7 e il punto medio della base sacrale (Fig. 2a). Nel popolazione normale il valore medio di tale angolo è 135° ± 8 (Roussouly et al 2006).

Il metodo per misurare il rapporto C7 / SFD è presentato in figura 2b. Questo rapporto è uguale a zero, quando la linea a piombo di C7 si proietta esattamente sull’angolo posteriore del sacro; invece è uguale a uno quando C7 si proietta esattamente sull’asse bicoxo-femorale.

E ‘negativo quando l’appiombo di C7 cade posteriormente al sacro, e maggiore di uno quando C7 proietta anteriormente alle teste femorali. Nella popolazione normale il valore medio di questo rapporto è -0.9 ± 1 (Barrey 2004).

fig. 2a e 2 b Valutazione dell’allineamento sagittale globale usando l’angolo spino-sacrale (SSA) e il rapporto C/SFD. L’indice SSA è definite come l’angolo tra la base sacrale e la line ache connette il centro del corpo vertebrale di C7 e il punto medio della base sacrale. La distanza sacro femorale (Sacral Femoral Distance – SFD) è la distanza orizzontale tra l’asse vertical della bicoxo-femoarle e la linea vertical passante attraverso l’angolo posterior del sacro. Viene riportata anche la distanza orizzontale tra l’appiombo di C7 (C7 PL) e l’angolo posterior del sacro (SC7D). Viene calcolato il rapport C7/SFD corrispondente al rapport tra SC7 e la distanza SF


L’angolo spino-sacrale e il rapporto C7/SFD permettono di valutare l’allineamento sagittale globale della colonna vertebrale sulle pelvi.

In base alla gravità dello squilibrio sono stati proposti tre differenti stadi (Barrey et al. 2013): bilanciato, bilanciato con meccanismo compensatori e squilibrato. Nell’ultimo stadio, i meccanismo compensatori non sono sufficienti a mantenere l’equilibrio sagittale (fig. 3).

SFIDA DELLOSTEOPATIA Integrare classico con nuovo 005 osce spine center fig. 3 – Classificazione dell’allineamento sagittale in tre stadi rispetto alla gravità dello squilibrio. Nello stadio 3 (squilibrato) il rapporto C7PL/SFD è superiore a 0.5, ciò significa che l’appiombo di C7 è più vicino alle teste femorali che alla base sacrale.

Meccanismi compensatori

SFIDA DELLOSTEOPATIA Integrare classico con nuovo 006 osce spine center fig. 4 – Squilibrio sagittale e differenti meccanismio compensatori della colonna, pelvi e aree dell’arto inferiore.


Dei meccanismi compensatori sono stati osservati nella colonna, pelvi e/o arto inferiore (illustrate in figura 4). Questi meccanismi raramente sono presenti tutti insieme nello stesso paziente, sono, invece, generalmente associati in differenti gradi, dipendenti principalmente dalla rigidità della colonna, dallo condizione muscolare, dal dolore e gravità dello squilibrio.

Il loro concetto base è quello di estendere al segmento adiacente un cifosi vertebrale per permettere di compensare una traslazione anteriore dell’asse di gravità ma potenzialmente il risultato derivante è un aggravamento.