Osteopatia geriatrica: riflessione di viaggio di una tirocinante di osteopatia
di Gennj Girolomini)
Pensieri di una studentessa alle prese con il tirocinio di osteopatia geriatrica presso il centro per anziani Lercaro di Bologna.
Siamo arrivati, paghiamo il casello e usciamo. Dopo 3 giorni di stage siamo un po’ stanchi, ma ho ancora una ventina di minuti di viaggio prima di arrivare a casa.
Saluto il mio compagno di studi e vorrei tanto dirgli: “Ci sentiamo in settimana per decidere cosa ripassare sabato prossimo!” Invece ci accordiamo per l’orario del giorno dopo. Perché il lunedì mattina successivo dobbiamo ritornare a Bologna, ci aspetta il tirocinio alla casa di cura Lercaro. Metto la cintura e riparto.
Quando all’inizio dell’anno scolastico ci hanno comunicato che avremmo dovuto svolgere questo tipo di tirocinio abbiamo tutti pensato che fosse solo un impegno, un ulteriore ostacolo al nostro percorso scolastico, un modo di sottrarre altro tempo al lavoro e alla famiglia, come se lo studio non ne richiedesse già abbastanza; l’unico modo con il quale la Scuola è stata in grado di soddisfare i capricci del ROI.
In tutti questi anni di scuola è sembrato di giocare a un gioco dell’oca nel quale, ogni anno, il ROI inserisce delle nuove caselle senza numero in cui, quando la fortuna ti abbandona, ti devi fermare un anno o torni indietro di qualche passo.
Con la scusa di doverci uniformare ai programmi delle scuole di osteopatia degli altri paesi europei in cui l’osteopatia è riconosciuta, sono state progressivamente introdotte nuove materie, nuove ore di tirocinio clinico, nuovi ostacoli. Sarei tanto curiosa di sapere quanti studenti di osteopatia degli altri paesi vanno nelle case di cura per anziani a fare tirocinio.
Quali potevano essere gli obiettivi di una serie di trattamenti osteopatici sugli anziani? Se l’osteopatia è una disciplina capace di promuovere l’autoguarigione del corpo, da cosa un anziano poteva auto-guarire? Non certo dalle problematiche legate al passare degli anni. Forse saremmo stati in grado di porre le basi per permettere un aumento della qualità di vita ma, chi come me ha già lavorato con gli anziani da fisioterapista sa bene che l’anziano non misura la qualità di vita dalla presenza o meno dei dolori muscolo-scheletrici, ma dalla presenza o meno dei rapporti umani, dal grado di percezione della solitudine e dalla lontananza dai familiari. In questi termini, avremmo mai potuto, anche in parte, migliorare la qualità di vita di questi anziani? Con tutti questi dubbi e anche con poche speranze, abbiamo cominciato questa avventura.
Alcuni di noi, dichiarati dal gruppo i più fortunati, si sono trovati a trattare anziani piuttosto auto-sufficienti, altri si sono trovati di fronte situazioni pluripatologiche e demenze senili tali che, a volte, anche i nostri tutor rimanevano perplessi.
Gli anziani che vivono in ambiente protetto sono diversi da quelli che quotidianamente arrivano negli studi osteopatici per farsi trattare. In verità, a volte, è stato divertente osservare come il programma di lavoro di una giornata di tirocinio, preparata nei minimi dettagli nei giorni precedenti, si sconvolgesse in un attimo perché un paziente era stato purgato o perché, senza dire niente al personale di servizio, qualche anziano aveva autonomamente “modificato di suo pugno” il programma degli appuntamenti affisso in bacheca.
In queste situazioni anche il tutor era messo a dura prova, ma gli anziani sono così, a loro modo burloni e “furbetti”, proprio come i bambini, anche se molto meno ingenui.
Guardando la situazione come uno spettatore a teatro, però, ci si accorge che c’è una cosa che accomuna gli ospiti e gli studenti: la mancanza di aspettative. Questo è strano perché i pazienti che vengono nei nostri studi e pagano si aspettano di stare meglio e anche in breve tempo. Nessuno dei coinvolti in questa esperienza si aspettava risultati dai nostri trattamenti, anche se, qualche anziano ha riferito di non aver avuto più mal di schiena dopo le prime sedute; nessun anziano si aspettava di risolvere i propri problemi di salute attraverso una terapia dove gli venivano messe le mani sulla testa, eppure, dopo i trattamenti, in alcuni casi, ci hanno riportato che qualcosa era cambiato, a dimostrazione che, per quanto corroso dal tempo, ogni corpo mantiene una sua plasticità. Io e i miei colleghi non l’avremmo mai dato per scontato prima di provarlo sul campo.
Durante questi mesi, stimolati dai vari tutor, abbiamo sperimentato tecniche che, quando ci erano state mostrate in classe, avevamo considerato “troppo morbide” per poter essere efficaci e che, a dire di noi studenti, non avremmo mai avuto l'occasione di applicare sul campo. Grazie a questa esperienza abbiamo avuto modo di provarle! Per alcuni di noi, inoltre, è stata inoltre l’opportunità di toccare i primi pazienti veri, diversi dal compagno di classe con cui si provano le tecniche a scuola. Mentre durante le lezioni ci alleniamo tanto sulle caratteristiche specifiche delle varie tecniche, con questi pazienti abbiamo imparato a modificare il posizionamento nostro e del paziente perché alcuni di loro facevano fatica ad assumere la posizione sul fianco e ancora di più quella prona.
Pago al casello e mentre cerco le monete mi viene in mente un’immagine.
È come se il trattamento degli anziani fosse un primo approccio alla tecnica di disegno con la sabbia. All’inizio si sparge tanta sabbia, che rappresenta la quantità ingente di traumi (muscolo-scheletrici ed emotivi) che il corpo in età avanzata ha subito nella vita, dopodiché l’artista deve togliere un po’ di sabbia qui e là per cercare di dare vita a un’immagine riconoscibile. Non sai mai cosa disegnerai, né se il disegno sarà bello, né quanto durerà nel tempo, non hai nessuna aspettativa, l’importante è creare, ricercare l’armonia delle proporzioni e se riesci a mantenerla, è sufficiente per dare un'emozione.
Intendiamoci, andare a fare tirocinio il lunedì mattina dopo lo stage è sempre un impegno gravoso, soprattutto con l’avvicinarsi degli esami, quando il tempo per studiare non basta mai, ma forse, tra quarant’anni, quando l’osteopatia geriatrica sarà una realtà affermata, potrò vantarmi con le nuove leve di essere stata una delle prime osteopate in Italia a sperimentarla, a patto che l’Althzeimer mi abbia risparmiato questo ricordo. Un altro elemento positivo di questa esperienza è che gli inevitabili fallimenti dei nostri trattamenti su alcuni ospiti della casa di cura ci riportano sempre con i piedi per terra e, se questo fosse sufficiente a prevenire il delirio di onnipotenza ( la malattia professionale di un gran numero di osteopati ;-) ) forse l’esperienza in casa di cura potrebbe rappresentare l’insegnamento morale più valido e importante che abbiamo mai fatto in tutto il percorso scolastico.
Adesso che ho trovato parcheggio spengo la macchina e vado a casa. Mi aspettano. Domani si riparte e vediamo che succede.